UNA SENTENZA IMPORTANTE DEL CONSIGLIO DI STATO

LA N° 5036 DEL 16 OTTOBRE 2013

Nazionale -

Lavoratori,

nei giorni scorsi c’è stata da parte del consiglio di stato una importante sentenza che, al di là del merito, ribadisce un principio elementare cioè che anche ai lavoratori del CNVVF si applicano, salvo espressa esclusione, le norme che disciplinano il rapporto di pubblico impiego e che la specificità non è argomentazione di per sé valida a negare alcuni diritti.

Nel merito della sentenza una lavoratrice del CNVVF aveva presentato domanda di trasferimento ai sensi  dell’art. 42 bis del D.Lvo  151/2001, il TAR aveva già a suo tempo accolto il ricorso della lavoratrice così argomentando:

“… - l'art. 42 bis del decreto legislativo n. 151/2001, in uno spirito di particolare favore per il genitore dipendente, contempla una mobilità all'interno dell'organizzazione pubblica complessivamente considerata, ricomprendente anche le assegnazioni all'interno della stessa amministrazione di appartenenza;

- la sopradetta disposizione in quanto finalizzata alla tutela di valori costituzionalmente garantiti inerenti alla famiglia ed all'assistenza dei figli minori fino a tre anni d'età con i genitori impegnati nello svolgimento di un'attività lavorativa, ha portata generale ed è applicabile ai dipendenti di tutte le amministrazioni pubbliche, esclusa ogni discriminazione in relazione a particolari categorie, a meno di configurare profili di dubbia costituzionalità;

- non sarebbe risolutivo il fatto che per il personale dei Vigili del Fuoco non sia prevista la mobilità volontaria tra amministrazioni ex art. 30 d. lgs. 165/2001, in quanto personale in regime di diritto pubblico, circostanza questa che non potrebbe determinare l'inapplicabilità tout court dell'art. 42 bis rimanendo sempre possibile la mobilità tra diverse sedi della stessa amministrazione”(omissis).

Il dipartimento si è appellato al consiglio di stato che con  sentenza 12 settembre - 16 ottobre 2013, n. 5036 III sez. rigettando l’appello proposto, spiegando, in parole semplici, che nonostante la specificità i principi di carattere generale che tutelano gli interessi costituzionalmente previsti, si applicano a tutte le categorie del pubblico impiego.

Nel rimandare alla lettura integrale della interessante sentenza del consiglio di stato si vuole qui riportare un passo centrale ed importante della sentenza che demolisce nel merito le argomentazioni opposte dall’amministrazione:

“Il Collegio ritiene che l’argomentazione così riferita, pur corretta nelle premesse (ndr la non applicabilità al personale del CNVVF dell’art. 30 del D.lvo 165/2001 mobilità tra amministrazioni), sia manifestamente illogica nelle conclusioni; si tratta, insomma, di un paralogismo”.

Certamente l’accenno dell’art. 42-bis ad una “amministrazione di provenienza” e ad una “amministrazione di destinazione” rivela che la volontà del legislatore è quella di configurare il beneficio con tale ampiezza, da rendere possibile anche il passaggio da un’amministrazione all’altra (ossia: da un Comune ad altro Comune, etc.). Ma questo non significa che sia precluso chiedere e ottenere, semplicemente, il trasferimento da una sede all’altra di una stessa amministrazione. Il più comprende il meno, secondo un principio di logica elementare.

Si potrà discutere se la specificità del servizio dei Vigili del Fuoco (o di altre figure professionali del pubblico impiego) consenta il passaggio da o verso altra amministrazione. Ma non di questo si discute nella presente vicenda”(omissis).

Sovente l’amministrazione tende a darsi autonome disposizioni organizzative e regolamentari  e purtroppo sempre più spesso siamo costretti a verificare che i lavoratori del CNVVF sono costretti ad adire alle vie legali per far valere i più elementari diritti.

In una logica di interessi contrapposti può accadere che ci sia un contrasto tra le parti ma il voler a tutti i costi negare diritti elementari  oltre che creare un clima ostile ciò comporta oneri sia per i lavoratori che per l’amministrazione, cosa assolutamente inaccettabile sia come lavoratori stessi che come cittadini.

La notizia di questa sentenza del consiglio di stato molto interessante, dimostra una situazione da noi della USB denunciata da anni, cioè gli effetti nefasti della  “militarizzazione”, che ci ha posto fuori dal pubblico impiego con la volontà di disporre di noi in virtù dei minor diritti.

Un fatto questo che viviamo ogni giorno nelle sedi di servizio che giorno dopo giorno diventano caserme, lavoratori con i gradi che diventano marescialli e caporali, con la benedizioni di quasi tutti i sindacati “gialli” che bramavano per veder applicato il regolamento di servizio e illudevano parlando di specificità!

Le solite balle a cui ancora molti lavoratori storditi da una crisi sempre più aggressiva sembrano aggrapparsi per sperare in un futuro migliore.

Questa sentenza invece dimostra che ancora i nostri diritti ci sono, come nel resto del pubblico impiego a dispetto di un’amministrazione che diviene sempre più arrogante, lo dice la sentenza, ignorando o fingendo di ignorare i nostri diritti e prosperando nell’ignoranza degli stessi lavoratori.

Addirittura superando in rigidità, l’amministrazione militare, rigida per antonomasia, ci riferiamo all’ "Estensione della normativa per il personale della Pubblica Amministrazione", al primo comma dell'art. 1493 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), dove prevede che al personale militare femminile e maschile si applica, “..tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità, nonché le disposizioni dettate dai provvedimenti di concertazione" (omissis).

Come lavoratori, ricorrere ai tribunali, con esborso di soldi, per veder riconosciuti i propri diritti. Questa non può essere la strada, è necessario continuare la lotta intrapresa sindacalmente dalla USB VVF per fermare la deriva di questa amministrazione che blocca i diritti e pretende sempre maggiori doveri, a tutti i lavoratori corre “l’obbligo” di schierarsi, di affermare i nostri diritti, mettendo al bando quei sindacati che complici dell’amministrazione sponsorizzano riforme che ci mortificano nella professione, nello stipendio e nel diritto.